24.04.2019.

D.E.U.S.

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«Hai mai visto il mare?»
«No, quando sono nato io il mare l’avevano già cancellato. Però ho fatto in tempo a vedere la luna, un vero spettacolo!»
«Già, vale la pena essere nati solo per averla vista una volta…»
«Quando hanno cominciato a far sparire le cose?»
«È stato vent’anni fa, nel 2007. Bisognava fare pulizia e si è iniziato dalle cose superflue.»

Io sono un “assegnatore”, in pratica sovrintendo al reclutamento dei soggetti idonei al back-up. Il mio compito è di scortare le persone fino all’aula di assegnazione e di fare in modo che tutti rispettino la fila, in ordine, senza cercare di superare gli altri, senza barare. Nell’aula ognuno riceverà il verdetto e in caso di ammissione il “grado” che occuperà dopo il trasferimento.

Il primo della fila è un tipo sulla cinquantina, di bell’aspetto, un signore elegante direi. Gli occhi azzurri, quasi trasparenti, e il passo deciso, composto, di chi sa dove andare o, quantomeno, di chi si illude di saperlo.
Il libero arbitrio, ciò che comunemente si intende per libero arbitrio, ha dei limiti ben precisi. Io ho l’obbligo di far rispettare questi limiti. Non sono un giudice però. La scelta finale, quella che divide i prescelti dagli esclusi, non tocca a me, per quella ci sono i computer, per quella c’è il Deus.
Il lavoro sporco lo fanno le macchine, a loro spetta il giudizio. Io mi occupo esclusivamente dell’assegnazione dei gradi, o, meglio, della loro ratifica sui registri ufficiali. I gradi rappresentano la cosa più simile al destino, un destino fatto dagli uomini a misura degli uomini, ma che ora non dipende più da loro, da noi. Il destino è quello che ti viene assegnato.
Il signore elegante ha appena ricevuto il suo grado: élite. Sarà un medico. Lui passa.

«Quanto tempo ancora?»
«Quanto tempo per cosa?»
«Per sgomberare tutto… per eliminare ciò che resta. Quanto ci vorrà ancora?»
«Un mese, due al massimo. Bisogna trasferire gli ultimi dati sul nuovo sistema.»
«Tu che farai dopo?»
«Non ne ho idea, non mi è ancora stato comunicato.»
«Io spero di poter stare con i miei genitori, ma non mi illudo, sai… sono anziani…»
«Oh, mi dispiace.»
«Non fa niente, è la legge.»

Ci sono tante aule di assegnazione, la mia è una delle più piccole, ma è anche una delle più affollate. Ci lavoro da un paio di mesi, io e il numero 928. Lui è arrivato qualche mese dopo di me, è un novizio, e questa è la prima volta che fa l’assegnatore.
È un tipo simpatico, forse un po’ inesperto ma simpatico, una qualità fondamentale quando si ha a che fare con il dramma tutto umano di quella che ancora ci ostiniamo a chiamare vita. Bisogna saper sdrammatizzare per non soffrire ogni volta che qualcuno esce dall’aula di assegnazione senza aver ricevuto un grado.
L’umanità è morta e risorta già una volta, e ora che siamo alle porte di una nuova apocalisse è complicato anche solo ricordarsi il significato di parole come speranza e rinascita. Ci siamo già passati e non ha funzionato. Abbiamo costruito un nuovo mondo a immagine di quello vecchio e ovviamente la copia ha ereditato le stesse colpe, i limiti e i peccati dell’originale.
In principio ci abbiamo creduto, eravamo fiduciosi nell’infallibilità delle macchine e nell’incorruttibilità di un nuovo mondo digitale, ma le cose non sono andate come ci si aspettava. Tutto ciò che di male poteva accadere è accaduto, e c’è stato posto persino per qualcosa di peggio che non era stato previsto. Siamo stati capaci di distruggere quello che eravamo, quello che avremmo potuto essere, quindi ci siamo limitati a razionare le poche risorse rimaste e quando non è stato più possibile razionare queste si è deciso di razionare anche chi le risorse avrebbe dovuto consumarle.
È per fare questo che sono nati gli assegnatori. Io registro i dati di chi sta dentro e di chi sta fuori, separo i fortunati da quelli che la fortuna non avranno neppure la possibilità di immaginarla. Non sono che un impiegato, un burocrate pagato per fare un lavoro triste, in un mondo triste vicino alla sua data di scadenza. Di nuovo.
Per quanto riguarda i risvolti morali della faccenda devo confessare che dormo sonni tranquilli. Come vi ho detto non sono che un intermediario, un supervisore, io non faccio altro che applicare la legge, in modo rigoroso e senza favoritismi, sono un tipo onesto e il mio è un lavoro come tanti altri. Tu sì, tu no, non è difficile.

In testa alla fila adesso c’è una donna buffa, si muove tutta impettita come fosse a una prima teatrale. Il trucco è pesante e slavato, come vernice fresca che cola. Scommetto che non ha idea di cosa l’aspetta oltre quella stanza. Forse nessuno ne ha idea.
Ecco che esce. Ha fatto in fretta. La vernice non farà in tempo ad asciugare, ma lei ride, spensierata. Non passa.

«Non ti sembra ingiusta questa storia delle assegnazioni?»
«Ingiusta, sì, ma è l’unico modo che abbiamo per continuare a esistere come specie. Il sacrificio di molti per la salvezza di tanti… Dopotutto Noè non fece la stessa cosa?»
«Forse hai ragione. In realtà la selezione la comprendo, fin lì ci arrivo, ma le assegnazioni… beh, quelle proprio non le capisco.»
«E che avresti fatto? Al posto delle macchine, se fossi stato tu a decidere, cosa avresti fatto?»
«Io? Boh? Non lo so, non sono così intelligente, sono solo un assegnatore, uno degli ultimi arrivati. Però… forse avrei lasciato ai prescelti la libertà di decidere quale strada seguire una volta trasferiti.»
«Sarebbe stato il caos, credimi. Immagina una società creata dal nulla e popolata da individui non inquadrati, senza un ruolo…»
«Liberi…»
«Scusa?»
«Liberi, ho detto liberi. Sarebbe stata una civiltà nuova popolata da individui liberi.»
«La libertà è un concetto sopravvalutato. E comunque non è un’opzione, non lo è mai stata.»
«Già, non qui perlomeno. Non ora.»
«Una volta, forse. Prima di arrivare qui. Ricordo ancora le parole di mio padre, quando mi raccontava del mondo che abbiamo perso, quello vero. La libertà, ammesso che sia mai esistita l’abbiamo lasciata laggiù.»

Il prossimo a cercare di varcare le soglie di questa aggiornata versione dell’eden è un ragazzo sulla trentina. Fisico atletico, sguardo fiero, occhi profondi. Deve essere uno di quelli che si credono destinati a un sicuro successo. Tutto è possibile, purché si rimanga in fila. Ha un cane al guinzaglio, un dobermann, quello di sicuro non passa.
Il ragazzo esce dalla stanza con lo stesso sguardo con il quale è entrato. Forse la fierezza paga. Grado: militare. Sarà un soldato. Lui passa.

«Eppure le cronache dei tempi descrivevano Terra2® come il luogo migliore per rinascere. I libri, i politici, perfino gli insegnanti è così che descrivevano il posto che oggi stiamo abbandonando come ratti.»
«Mentivano. Lo facevano tutti. Che altro potevano fare? Il mondo era al collasso e quella soluzione doveva quantomeno sembrare un paradiso, la terra promessa.»
«Un miraggio. Alla fine non è stato che un miraggio. Bello finché è durato, ma nient’altro che un miraggio.»
«Le intenzioni erano buone.»
«Quelle lo sono sempre.»
«Vero, ma non credo ci fossero secondi fini nel fare un back-up di un’intera specie vivente.»
«Stai dicendo che questo posto poteva essere davvero la salvezza del genere umano?»
«Sto dicendo che quello era l’obiettivo. Ma Terra2® non è adatta allo scopo per cui è stata costruita, non lo è più perlomeno. Quando si è deciso di abbandonare la dimensione fisica per quella virtuale bisognava prevedere un modo per aggiornare il software e l’hardware…»
«E invece?»
«E invece ci siamo fidati ciecamente della tecnologia e siamo finiti tutti qui dentro… le nostre coscienze sono finite qui dentro, senza alcuna possibilità di rivedere le cose, di migliorarle, magari di ripararle qualora si fossero verificati degli intoppi.»
«E gli intoppi ci sono stati…»
«Eccome! Pensa a quanta gente, quante coscienze sono andate perdute nella fase di trasferimento. Un terzo della popolazione è scomparso durante la prima digitalizzazione.»
«È stato un errore terribile.»
«Un errore che poteva essere evitato. Tutto è destinato a logorarsi, a consumarsi con il tempo, anche le macchine, i computer, per quanto potenti e perfetti possano sembrare, vanno inevitabilmente incontro alla rovina, arrugginiscono, invecchiano, muoiono.»

In testa alla fila adesso c’è un bambino. È alto poco più del dobermann del tizio di prima e porta un berretto di cotone che quasi gli impedisce di guardare avanti. Ha le scarpe da tennis slacciate. Lo faccio passare e lui entra di corsa nell’aula facendo volare per aria il cappello. Irruenza giovanile!
Grado: studente; sarà un ricercatore. Lui passa.

«Allora è questo che sta accadendo? Terra2® sta morendo?»
«Sì, e se non ce ne andiamo moriremo anche noi che abbiamo trovato posto nella sua memoria. Alla fine si è scoperto che gli hard-disk non erano sufficienti a contenere tutti i dati, ma ormai era troppo tardi…»
«E si è deciso di eliminare le cose.»
«Prima le cose… poi le persone, non tutte però. Si è iniziato con gli anziani, e poi si è passato a cancellare i criminali, i malati di mente, e tutti quelli che potevano essere sacrificati.»
«Perché non cancellare i bambini allora? Loro non sanno nemmeno quello che sta accadendo, sono troppo piccoli, forse non se ne accorgerebbero neppure.»
«I bambini sono una risorsa, e poi le loro coscienze, così semplici, così leggere, occupano poco spazio e richiedono una minore capacità di calcolo per farle funzionare.»
«In fondo la percezione dell’universo, del nostro universo digitale, dipende dalla potenza dei processori. Mi auguro solo che quelli installati su Terra3® si dimostrino all’altezza.»
«Ce lo auguriamo tutti… ma avendo a che fare con un processo pianificato e progettato per intero dai computer nessuno dorme sonni tranquilli. Ormai siamo costretti a fidarci dei programmi elaborati dal Deus.»
«E chi lo programma il Deus?»
«Lui si programma da solo.»

Il Deus, Digital Environment Universal System, è il computer centrale, una rete di computer per la precisione, ed è anche l’unica cosa ad aver conservato la dimensione fisica. Si tratta di un’entità senziente artificiale che galleggia nello spazio dove prima c’era la Terra, una divinità elettronica pensata per gestire i dati della nuova umanità digitale, per accoglierci nel suo seno come una madre con i suoi figli, come un dio con le sue creature. Al suo interno viviamo noi, al suo interno vive tutto il nostro universo, e anche le infinite possibilità che questo ha di espandersi, di dilatarsi, forse anche di collassare.
Deus ha creato Terra3® perché Terra2® non funzionava più. L’universo che avevamo programmato per sfuggire alla distruzione del pianeta reale si è rivelato troppo piccolo, e troppo lento, ed è per questo motivo che è stato necessario pianificare il trasferimento di un numero limitato di individui su un nuovo sistema, un’Arca per superare il diluvio che altrimenti avrebbe spazzato via ogni cosa.
Per facilitare questo ulteriore back-up, e liberare la memoria centrale dal pesante processo di elaborazione delle singole coscienze digitalizzate, è stato predisposto un substrato funzionale di compiti e situazioni prestabilite, i gradi, che sono assegnati dal Deus in modo inappellabile e definitivo, una sorta di DNA digitale al quale nessuno può opporsi, come accadeva un tempo con il colore degli occhi o con quello della pelle. È un po’ come in un gioco di ruolo, con la differenza che non tutti potranno essere della partita.

Molta gente scomparirà, morirà, per usare un termine desueto e legato a una dimensione corporea che non ci appartiene ormai da tempo, e tutto accadrà perché Deus lo ha voluto. Deus, che poi siamo noi stessi, il nostro mondo, le nostre coscienze, ciò che esiste e ciò che potrebbe esistere, i fatti e le probabilità, le cause e gli effetti, noi, vittime e carnefici allo stesso tempo abbiamo consumato il più atroce dei delitti. Un delitto perfetto, quello in cui la vittima è l’assassino sono la stessa persona.
Questo è ciò che siamo, questo è ciò che rimane dei figli del pianeta Terra, dopo che i figli hanno ammazzato la madre.

«Non c’era proprio nient’altro da fare?»
«Non credo. Terra2® non riesce più a far fronte alla mole di lavoro a cui è sottoposta e ora, per un’altra volta, l’umanità è costretta a emigrare.»
«Ammesso di stare ancora parlando di umanità…»
«Che vuoi dire?»
«Ah, magari lo sapessi! Sono troppo piccolo per questo tipo di discorsi. È solo che da quando sono nato mi chiedo se la mia esistenza abbia ancora qualche attinenza con quello che i libri definiscono “vita”. Non ho mai avuto un corpo reale, la mia coscienza, così come il mio aspetto, sono digitali, posso davvero definirmi umano?»
«Hai ragione, sei troppo piccolo…»

Glisso le considerazioni filosofiche di 928 e torno a occuparmi del mio lavoro. Questa qui potrebbe anche essere una fotomodella, raramente ho visto tanta perfezione in una donna sola. Capelli rossi, occhi verdi e un corpo ben proporzionato, il mio ideale di bellezza. Spero con tutto il cuore che passi, magari me la ritrovo come fidanzata dopo il trasferimento, o meglio ancora come amante. Non passa. Fanculo!
Terra3® è il nome della nuova casa che attende i prescelti, una casa virtuale più comoda di quella attuale ma anche più piccola, un luogo non-luogo dove esseri umani digitalizzati potranno continuare a intessere le loro esistenze immaginarie, sequenze di 0 e di 1 per sintetizzare anime che i computer di qui nono sono più in grado di far funzionare. Non tutte, perlomeno.

«Sei sposato?»
«Non lo so ancora. Tu?»
«Stessa cosa, aspetto di sapere.»
«L’incertezza qualche volta è un supplizio. La tipa di prima, per esempio, mi piaceva parecchio…»
«Chi? La rossa?»
«Sì, lei. Una così l’avrei sposata anche subito.»
«Già… che spreco.»
«Uno spreco inevitabile. Il posto in cui andremo sarà più aggiornato, più funzionale, più veloce… ma anche più piccolo. Non ci sarà posto per tutti, qualcuno… molti saranno sacrificati.»
«Fa schifo, lo so. Ma mi illudo che l’Human-Frame possa offrire una speranza agli esclusi.»
«Speranza? Di cosa?»
«Di non essere dimenticati…»

L’identità di coloro che non troveranno posto su Terra3® verrà archiviata nell’Human-Frame, un espediente sufficiente a tenere a bada l’animo dei più ostili al programma di trasferimento. Un modo per lavarsi la coscienza, e per allontanare qualunque dubbio circa l’immoralità di quello che stiamo facendo.
L’Human-Frame è una memoria esterna non connessa alla rete centrale destinata a racchiudere i pensieri, i ricordi, e persino i processi alla base di quella che si può considerare l’anima, ma la coscienza dei soggetti non destinati al back-up vero e proprio, quel complesso network di istinto e razionalità, sarà azzerata per fare spazio alle facoltà intellettive dei più fortunati. Gli esclusi saranno ridotti a un mero archivio di dati latenti, consultabili ma privi di quelle dinamiche che innescano le routine e i principi della vita, nell’accezione che a questa abbiamo dato dopo esserci liberati dei nostri corpi fisici, lasciati alle spalle assieme a un pianeta alla deriva, spoglie di naufraghi su un relitto che affondava. Mentre la Terra andava a picco, abbiamo trovato in un computer l’insperata scialuppa di salvataggio che ci ha consentito di sopravvivere, seppure come simulacri di una specie condannata all’estinzione.
Da quel momento Dio ha perso ogni diritto sulla razza umana, ha abdicato in favore di un super computer creato dall’uomo stesso che, affrancatosi dall’onnipotente nel momento più buio, ha eletto come sua nuova divinità un cervello elettronico fatto di microcircuiti e silicio.
Il paradiso adesso si misura in kilobyte.

Gli ultimi a entrare nell’aula di assegnazione sono una coppia di anziani. Avanzano tenendosi per mano come due adolescenti alla prima cotta. Dalle lacrime di 928 deduco che sono i suoi genitori. I loro passi sono incerti, come la loro salute, e la possibilità di conquistare un biglietto per l’altra parte. Le malattie, la morte, sono rimaste, fanno parte del ciclo “innaturale” di questa esistenza che deve imitare in tutto quella reale. Si nasce, si vive, si muore, anche se non è necessario tutto quello che faceva parte della vita di prima è stato mantenuto, una finizione calcolata, un teatro per ricordarci cosa eravamo. Forse per non implodere in un buco nero fatto di byte e silicio.
I genitori di 928 non passano. È la legge.
928 si asciuga le lacrime e fa entrare qualcun altro nell’aula. Non c’è tempo per le distrazioni, e neppure per piangere. Dopotutto lui è nato solo un anno fa, troppo poco per capire come vanno le cose. Per fortuna siamo alla fine del turno, per oggi abbiamo quasi finito. Per oggi…

«Oh, merda!»
«Cosa? Cos’è successo?»
«Le ombre…»
«Le ombre?»
«Sì, le ombre. Guarda in basso, ai tuoi piedi, hanno iniziato a cancellare le ombre.»
Chissà come sarebbe la mia vita se al mondo ci fossero altre donne.

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