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racconti e romanzi

Percorrevo quella strada da tanti anni. Trenta chilometri all'andata e altrettanti al ritorno, da casa allo studio del dottor K. Dallo studio del dottor K a casa. Non erano viaggi di piacere ma un pellegrinaggio giornaliero dovuto ai miei problemi di salute. Soffro di gravi disturbi della memoria. La mia è quella che i medici chiamano amnesia di rievocazione di natura psicogena. Non c'è nulla che non vada nella mia testa, nulla di fisico perlomeno, eppure, nella mia memoria malferma, ci sono troppe zone d'ombra, frammenti del passato che non tornano.

 

 

«Hai mai visto il mare?»
«No, quando sono nato io il mare l’avevano già cancellato. Però ho fatto in tempo a vedere la luna, un vero spettacolo!»
«Già, vale la pena essere nati solo per averla vista una volta…»
«Quando hanno cominciato a far sparire le cose?»
«È stato vent’anni fa, nel 2007. Bisognava fare pulizia e si è iniziato dalle cose superflue.»

Io sono un “assegnatore”, in pratica sovrintendo al reclutamento dei soggetti idonei al back-up. Il mio compito è di scortare le persone fino all’aula di assegnazione e di fare in modo che tutti rispettino la fila, in ordine, senza cercare di superare gli altri, senza barare. Nell’aula ognuno riceverà il verdetto e in caso di ammissione il “grado” che occuperà dopo il trasferimento.

Il primo della fila è un tipo sulla cinquantina, di bell’aspetto, un signore elegante direi. Gli occhi azzurri, quasi trasparenti, e il passo deciso, composto, di chi sa dove andare o, quantomeno, di chi si illude di saperlo.
Il libero arbitrio, ciò che comunemente si intende per libero arbitrio, ha dei limiti ben precisi. Io ho l’obbligo di far rispettare questi limiti. Non sono un giudice però. La scelta finale, quella che divide i prescelti dagli esclusi, non tocca a me, per quella ci sono i computer, per quella c’è il Deus.

Nei romanzi il lettore è sempre in una situazione privilegiata rispetto ai personaggi delle storie narrate. Conosce quasi tutti i fatti; talvolta, prima che si verifichino, conosce persino i pensieri dei protagonisti, perlomeno quelli che l’autore vuole rivelargli.
Questa volta, se avrete la bontà di essere miei lettori, voglio portarvi nel cuore della scena, voglio che non ci siano barriere tra noi, nessun segreto: si gioca a carte scoperte.

Io non c’entro, non ho colpe.
Dopo tanto tempo, e nonostante ciò che dice la gente, queste sono le sole parole che mi sento di dire, le sole che ancora mi trattengono nel posto in cui sono nato. E in quello in cui mi piacerebbe morire. Io non c’entro, non ho colpe.
Mi guardo allo specchio, oggi come allora, e davvero non riesco a trovare nulla di sbagliato nel mio comportamento, nulla che possa giustificare le accuse di chi continua a ritenermi responsabile di una morte tanto atroce. Non dico che non avrei potuto commetterlo veramente, è solo che l’omicidio non rientrava nei miei piani. Non ancora perlomeno.
Io sono un uomo perbene.
C’è qualcuno.
Qui dentro c’è qualcuno, adesso ne ho l’assoluta certezza. Inizialmente pensavo si trattasse di suggestione, di uno scherzo della mia immaginazione che mi faceva vedere cose che non c’erano. Poi ho sentito quella voce, e allora ho capito.
Io non sono solo.
A vent’anni il mio girovita era di settanta centimetri. A trenta superava abbondantemente i novanta. Oggi il metro non basta più.
Eppure continuo a sentirmi bella, la più bella. È soltanto una sensazione, un’idea non avvalorata dai responsi tutt’altro che incoraggianti dello specchio, ma perfino con la mia stazza attuale mi sento una donna affascinante e con parecchie carte da giocare al tavolo della seduzione.
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